Cass., Sez. IV, 23 aprile 2025, n. 16382, Shaba Bardhyl
La vicenda.-
Interessante sentenza della Corte di cassazione in tema di inutilizzabilità dei risultati delle intercettazioni e dei requisiti necessari per ritenere il ricorso ammissibile.
Il Tribunale, in sede di riesame, aveva confermato l’ordinanza del giudice per le indagini preliminari, il quale aveva disposto la misura della custodia cautelare in carcere nei confronti di un indagato per reati in materia di sostanze stupefacenti. Contro il provvedimento del tribunale del riesame, aveva proposto ricorso il difensore dell’indagato, eccependo l’inutilizzabilità dei risultati delle intercettazioni, ma il ricorso è stato dichiarato inammissibile proprio perché non è stato considerato rispettoso delle condizioni di ammissibilità.
La sentenza.-
La sentenza, esaminando il caso devoluto alla cognizione della Corte di cassazione, propone, in modo quasi scolastico e perciò chiarissimo, i diversi requisiti che deve rispettare il ricorso che eccepisca l ’inutilizzabilità dei risultati dell’attività di intercettazione.
La necessaria specificità del ricorso : a) l’indicazione delle conversazioni inutilizzabili.-
Anzitutto, la Corte chiarisce chel’inutilizzabilità è la sanzione che colpisce la conversazione intercettata, non il relativo decreto. La conseguenza di questo ovvio e condivisibile principio è che chi deduce l’inutilizzabilità dei risultati dell’intercettazione deve anche indicare quali conversazioni sarebbero inutilizzabili e tale indicazione manca nel ricorso esaminato nel caso di specie, con la conseguente genericità dell’eccezione di inutilizzabilità. La sentenza osserva che si tratta di indicazione necessaria, in quanto “l’inutilizzabilità può riguardare le singole intercettazioni e, nell’ipotesi qui ricorrente, in cui i gravi indizi si fondano su plurime intercettazioni, non è logicamente possibile procedere alla necessaria c.d. prova di resistenza”. Dalla genericità del ricorso discende la sua inammissibilità.
(Segue): b) la necessaria correlazione dei motivi di ricorso con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato.-
La sentenza indica come ulteriore motivo di inammissibilità anche il difetto del requisito della specificità riguardo all’assenza di adeguata critica alle ragioni addotte dal provvedimento impugnato per disattendere le eccezioni di inutilizzabilità riproposte in sede di legittimità.
Secondo la sentenza in esame i motivi si sarebbero limitati a “riprodurre le doglianze fatte valere in sede di riesame, giustapponendovi le motivazioni addotte nell’ordinanza del riesame per disattendere le stesse doglianze, e poi affermando che si tratterebbe di ragioni prive di specificità”. Ricorda la sentenza l’orientamento di legittimità, secondo cui i motivi di ricorso per cassazione sono inammissibili quando difettino della necessaria correlazione con le ragioni, di fatto o di diritto, poste a fondamento del provvedimento impugnato (Sez. 5, n. 28011 del 15 febbraio 2013, Rv. 255568), dal momento che l’atto di impugnazione non può ignorare le ragioni del provvedimento censurato (così in motivazione Sez. un., n. 8825 del 27 ottobre 2016, Galtelli, Rv. 268822) in quanto “la funzione tipica dell’impugnazione è quella della critica argomentata avverso il provvedimento cui si riferisce che si realizza attraverso la presentazione di motivi che, a pena di inammissibilità (artt. 581 e 591 cod. proc. pen.), debbono indicare specificamente le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta”.
La Corte osserva, in sintesi, che “contenuto essenziale dell’atto di impugnazione è indefettibilmente il confronto puntuale, cioè con specifica indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che fondano il dissenso, con le argomentazioni del provvedimento il cui dispositivo si contesta”.
Il necessario superamento della prova di resistenza.-
Altro requisito richiesto al ricorso che eccepisca l’inutilizzabilità dei risultati dell’intercettazione, ma valido per qualsiasiricorso per cassazione con cui si lamenti l’inutilizzabilità di una prova a carico, è che il relativo motivo di impugnazione deve illustrare, a pena di inammissibilità per aspecificità, l’incidenza dell’eventuale eliminazione del predetto elemento ai fini della cosiddetta «prova di resistenza», in quanto gli elementi di prova acquisiti illegittimamente diventano irrilevanti ed ininfluenti se, nonostante la loro espunzione, le residue risultanze risultino sufficienti a giustificare l’identico convincimento (Sez. 6, n, 18764 del 05/02/2014, Rv. 259452; Sez. 3, n. 3207 del 2 ottobre 2014, dep. 2015, Rv. 262011-01; nello stesso senso Sez. 5, n. 31823 del 6 ottobre 2020, Rv, 279829-01, sulla prova introdotta ai sensi dell’art. 507, cod. proc. pen.).
La necessaria autosufficienza del ricorso.-
La sentenza afferma pure che il ricorso è inammissibile perché non è rispettoso nemmeno dei parametri di autosufficienza richiesti dalla giurisprudenza.
Anche sotto questo profilo, la sentenza richiama i precedenti giurisprudenziali, secondo i quali, qualora in sede di legittimità venga eccepita l’inutilizzabilità dei risultati delle intercettazioni, è onere della parte, a pena di inammissibilità del motivo per genericità. indicare specificamente l’atto che si ritiene affetto dal vizio denunciato, cui si accompagna l’ulteriore onere di curare la produzione dell’atto e delle risultanze documentali addotte a fondamento del vizio processuale, curando che l’atto sia effettivamente acquisito al fascicolo o provvedendo a produrlo in copia (Sez. 4, n, 18335 del 28/06/2017, dep. 2018, Rv. 273261; Sez. 4, n. 2394 del 13/12/2011, dep. 2012, Rv. 251751, per cui il ricorso per cassazione per violazione delle regole di cui agli artt. 267 e 268, commi primo e terzo, cod. proc. pen, deve essere accompagnato, a pena di inammissibilità per genericità, dalla integrale produzione degli atti asseritamente affetti dai vizi denunciati.
La sentenza precisa che ciò non è avvenuto nel caso di specie perchè il ricorrente si è limitato a riportare nell’esposizione dei motivi “ampi stralci selezionati dei contenuti della memoria difensiva prodotta dinanzi al tribunale del riesame, al cui interno sono pure riprodotti taluni brani delle conversazioni intercettate”, ma “non ha invece adempiuto all’onere principale di allegazione dei decreti di cui lamenta il vizio di motivazione, con ciò rendendo impossibile, anche per questo aspetto il vaglio di legittimità sull’adeguatezza della motivazione”. D’altra parte, sulla scorta della giurisprudenza che non ammette la produzione di prove nuove nel giudizio di legittimità, anche nella materia cautelare, ma esclusivamente i documenti che l’interessato non sia stato in grado di esibire in precedenza (Sez. 2, n. 42052 del 19/06/2019, Rv. 277609 – 01), la sentenza conclude che l’inammissibilità del ricorso non è sanata dal deposito della documentazione allegata ad una memoria difensiva.
Osservazioni.-
La sentenza commentata si adegua alla giurisprudenza consolidata e ormai granitica in materia di ammissibilità del ricorso in cassazione che deduca l’inutilizzabilità della prova.
Deve però osservarsi che alcuni dei requisiti richiesti dalla giurisprudenza sono prescritti da disposizioni di legge, e quindi non sono contestabili, ma altri sono di esclusiva matrice giurisprudenziale e, poiché in materia di sanzioni processuali vige il principio di tassatività, non possono essere condivisi.
Infatti, è ovvio che chi deduce l’inutilizzabilità dei risultati dell’intercettazione o anche la nullità di un qualsiasi atto processuale deve necessariamente indicarlo e quindi, se si tratta di intercettazioni, deve precisare quali conversazioni sarebbero inutilizzabili o affette da nullità, tanto più se vi è una pluralità di captazioni.
Allo stesso modo, risponde ai criteri codicistici che il motivo di ricorso per cassazione si ponga in necessaria correlazione con le ragioni, di fatto o di diritto, poste a fondamento del provvedimento impugnato; è necessario, cioè, che il ricorso proceda ad un confronto critico dei motivi dedotti con le ragioni addotte dal giudice a giustificazione del rigetto dell’eccezione di inutilizzabilità, essendo insufficiente la mera riproposizione delle stesse censure che questi ha respinto. E’ la stessa essenza dell’impugnazione che consiste nella critica del provvedimento impugnato, per cui è corretto che il ricorso sia dichiarato inammissibile se non incide sulle ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato.
Discorso totalmente diverso deve farsi per la “prova di resistenza”, che non è prevista dalla legge ma è stata introdotta dalla “giurisprudenza creativa” della Corte di cassazione, quasi sempre in malam partem, come nel caso di specie, e assai raramente pro reo.
È evidente, infatti, che la regola è la tassatività delle sanzioni processuali e che non esiste alcuna disposizione di legge che esiga, a pena di inammissibilità per “aspecificità del ricorso”, la necessità che il ricorrente sviluppi nel ricorso la “prova di resistenza”, cioè la dimostrazione dell’incidenza decisiva che le conversazioni o comunicazioni inutilizzabili avrebbero sul complesso indiziario. La mancanza della “prova di resistenza”, comunque, non rende “aspecifico” o “generico” il motivo, ma semmai lo rende inutile. Tra l’altro, tale “prova di resistenza” consiste nella valutazione delle prove residue e utilizzabili, attività valutativa di fatto, che è preclusa in cassazione e comunque è riservata al giudice, anzi è la tipica funzione giurisdizionale.
Ancora più paradossale è il requisito richiesto dalla giurisprudenza, anche questa “creativa” in malam partem, che esige l’ “autosufficienza del ricorso”: pure in questo caso non esiste una disposizione di legge che imponga alla parte ricorrente l’onere di curare la produzione dell’atto che si ritiene affetto dal vizio denunciato e delle risultanze documentali addotte a fondamento del vizio processuale, curando che tale atto sia effettivamente acquisito al fascicolo o provvedendo a produrlo in copia. Addirittura il requisito è portato dalla giurisprudenza alle estreme conseguenze perché si afferma l’inammissibilità della produzione successiva degli atti necessari a soddisfare il requisito dell’ “autosufficienza”, ritenendo precluso il recupero in extremis della documentazione che il ricorrente avrebbe potuto già produrre all’atto del deposito del ricorso.
E’ noto che la Corte di cassazione è “giudice del fatto processuale” e perciò ha accesso al fascicolo per verificare l’eventuale violazione della legge processuale. Quindi si tratta di un requisito, frutto di creazione giurisprudenziale, che provoca l’inammissibilità del ricorso non per un vizio previsto dalla legge ma solo per una maggiore comodità di consultazione da parte del giudice.
Alla luce di queste considerazioni viene, davvero, da domandarsi se il ricorso per cassazione, garantito dall’art. 111 Cost. contro tutte le sentenze e contro i provvedimenti sulla libertà personale, sia ancora una garanzia o un percorso ad ostacoli.